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Immagine del redattoreFabio Gimignani

Caro editore, ti scrivo

Ho finito di scrivere il mio romanzo.

È certamente la cosa più bella che sia mai stata scritta dai tempi dei Sumeri, e già immagino King, la Rowling e Follett che aggiornano il curriculum in previsione dell'immancabile caduta dall'Olimpo degli autori alla quale andranno incontro una volta che il mio lavoro vedrà la luce sugli scaffali delle librerie.

Ma fino a quel momento mi devo dare da fare affinché un fortunato mortale a capo di una Casa editrice possa aggiudicarsi i diritti del mio indiscusso capolavoro e divulgarlo ai quattro angoli del mondo, per poi riconoscermi sempiterna gratitudine.

Ecco. Più o meno questa è la condizione dell'autore esordiente dopo aver scritto la parola "fine" in calce al primo sudatissimo e idolatrato manoscritto.

Non voglio mettere in dubbio che ciò possa essere anche vero, ma tra terminare la stesura di un manoscritto e ritrovarsi sulla copertina di Forbes il passo non è poi così breve.

Innanzitutto è necessario trovare un editore disposto a pubblicare l'opera, poi staremo a vedere; ma questo primo passo è vitale anche nell'ottica dell'effetto domino che desideriamo generare per giungere alla gloria, alla fama e alla ricchezza.

Rimanendo sempre nei panni di chi non ha nessuna intenzione di salire in cattedra (lo so: certe volta lo faccio, ma è un incidente di percorso), lasciate che vi dica che gloria, fama e ricchezza non sono così a portata di mano come si potrebbe pensare, e che molti autori blasonati che leggiamo con regolarità non abbandonano il proprio lavoro "ufficiale" perché scrivendo libri difficilmente si diventa ricchi.

È una verità crudele, ma qualcuno doveva pur dirvelo.

Ciò non toglie che se avete scritto un bel libro non abbiate il sacrosanto diritto di vederlo pubblicato, diffuso e distribuito al meglio delle facoltà in capo a un editore onesto.

Quindi, tralasciando l'idea di essere sceneggiati e prodotti da Netflix, vediamo quali sono i passaggi per sottoporre il frutto del proprio ingegno a una Casa editrice affinché il sogno di pubblicazione possa essere coronato, senza però doversi svenare o prostituire agli angoli delle strade per i prossimi vent'anni.


  1. Recensere necesse est, irruere non est necesse Parafrasando Pompeo, che al giorno d'oggi avrebbe collezionato una serie di improperi e pernacchie incalcolabili, vi rivelerò quello che è il passaggio più importante nel confezionamento di un manoscritto da inviare al potenziale editore: revisionare. Se infatti Pompeo spronava i suoi marinai con l'esortazione "Navigare necesse est, vivere non est necesse" (da qui la salva di pernacchie), chiunque sia dotato di un senno appena accettabile deve rendersi conto di come un editore non abbia il tempo di scavare nel manoscritto alla ricerca di significati, ritmo e trama, ma debba trovasi tutto sotto al naso, in bell'ordine e senza bisogno di modifiche o miglioramenti oggettivi. Per quelli soggettivi, una volta che avrà deciso di pubblicare il manoscritto, si arrangerà lui concordando il tutto con l'autore. Quindi non bisogna limitarsi a far girare il correttore ortografico, anche se vi assicuro che ricevo manoscritti così pieni di refusi da farmi dubitare che l'autore conoscesse l'esistenza di questo pratico strumento di correzione, ma è necessario rileggere più volte l'intero testo chiudendo l'orgoglio dentro a un cassetto e identificando tutto ciò che possa essere realmente migliorato, tagliato o aggiunto. Questo, ovviamente, se si decide di non affidarsi alle amorevoli (a spesso costose) cure di un Editor professionista... e anche in questo caso è necessario fare attenzione: in un post precedente (qui, per l'esattezza) ho chiarito quale sia il mio pensiero circa gli editing talebani basati sulla matematica anziché sulle belle lettere. Ma comunque sia, la revisione deve essere quanto più minuziosa possibile, senza eccedere nel perfezionismo barocco che trasformerebbe un manoscritto passabile in un'opera arzigogolata e praticamente illeggibile. Misura. Tanto per cambiare dobbiamo trovare la giusta misura. Ma revisioniamo senza pietà finché non siamo convinti di aver davvero fatto un buon lavoro.


  2. Il ciclostile andava bene negli anni settanta Ricevere un manoscritto fa piacere esattamente come ricevere la lettera di un conoscente o una comunicazione pubblicitaria ben realizzata. Niente sarcasmo in quello che ho appena scritto: un manoscritto ricevuto è la testimonianza del fatto che la Casa editrice è visibile, che il suo lavoro è quantomeno apprezzabile e che esistono autori convinti di voler dare fiducia ai tuoi tipi. Non è poco, giusto? Fa piacere come la lettera di un conoscente (o una mail... WhatsApp lasciamolo perdere), che ci dimostra come siamo nei suoi pensieri e, a prescindere dal contenuto, che sia un semplice saluto, una richiesta di aiuto o un invito a cena, ha impiegato una porzione del proprio tempo per scriverci. Anche questo significa qualcosa. Fa piacere (giuro) come una comunicazione pubblicitaria, quando questa sia ben realizzata, con intelligenza, gusto, senso estetico e vada a toccare quella che realmente potrebbe essere la soddisfazione di un nostro bisogno, manifesto o latente che sia. E fa piacere perché ci rendiamo conto di essere soggetti degni di rientrare in un panel di consumatori con i quali le aziende si prendono la briga di interagire dopo averli studiati, confezionando qualcosa di non dozzinale e oggettivamente piacevole. Quello che non fa piacere, e addirittura disturba fino al punto di cestinare la comunicazione prima ancora di aver aperto l'allegato, è rendersi conto di far parte di un invio massivo durante il quale il mittente non si è preso nemmeno la briga di cambiare il nome in apertura dei comunicazione, affidandosi a un più sbrigativo "Spettabile Casa editrice". Parlo per sensibilità personale, ma a me un copiaincolla simile, perpetrato senza la minima parvenza di gusto o di buona educazione, fa salire la carogna sulla spalla e mi convince del fatto che mai e poi mai vorrei pubblicare un autore cafone, fosse anche il nuovo John Grisham! Quindi no: niente messaggi ciclostilati o copiaincolla brutali. È il vostro manoscritto... prendetevi il tempo di selezionare le Case editrici e scrivete a ognuna di esse singolarmente. Chi legge spesso percepisce il cuore e i sogni di chi scrive.


  3. Ciao, mi chiamo Cornelius, e anche a me hanno rimosso i testicoli Questa passatemela, per favore: adoro Fight Club e la frequentazione dei gruppi di sostegno come cura per l'insonnia è un parto decisamente geniale della mente malata di Palahniuk. Però, se anche il signor Tyler Durden si presentava ai vari gruppi, perché un autore non dovrebbe farlo nei confronti di quello che potrebbe diventare il suo editore? Ora, sul sito di Edizioni Jolly Roger viene richiesta una breve presentazione personale da accludere al manoscritto inviato, ma ce ne sarebbe davvero bisogno? Di chiederla esplicitamente, dico. Non è che l'educazione standard di un bipede mammifero ascrivibile al genere umano dovrebbe essere sufficiente per esordire con un "Buongiorno, mi chiamo Cornelius e ho scritto un romanzo...”? Meglio ancora, per quanto scritto poc'anzi, sarebbe un "Buongiorno Edizioni Jolly Roger, mi chiamo Cornelius e ho scritto un romanzo..." sentite come suona bene? L'educazione spesso è un grimaldello capace di scardinare anche le serrature più ostiche, fidatevi. Personalmente, con un buongiorno, un grazie e tre sorrisi, mi comprate e mi rivendete per pronta cassa in qualsiasi momento.


  4. La sinossi, questa sconosciuta Quando, come nel caso di Edizioni Jolly Roger, le istruzioni per la proposta di un manoscritto includono l'invio di una "sinossi esaustiva", non significa che si richiede di sorprendere l'editore (o il redattore) ingenerando l'effetto "page flip" e costringendolo a divorarsi tutta l'opera seduta stante. Questi signori non hanno nemmeno il tempo di leggere la ricetta della carbonara; figuriamoci se hanno voglia di tuffarsi a capofitto su un manoscritto per sapere se l'assassino è il maggiordomo o se la vecchia contessa si è suicidata dopo aver visto l'ultima puntata di Lost. "Sinossi esaustiva" vuol dire che, in tre paginette, dovreste riassumere la trama del libro dall'inizio alla fine. Alla fine, porca miseria! Voglio saperlo se quei senzaddio degli sceneggiatori di Lost hanno mietuto un'altra vittima, e voglio saperlo senza dovermi sciroppare tutto il manoscritto. Nel caso in cui la sinossi (esaustiva, quindi dall'inizio alla fine... repetita iuvant) sia davvero interessante, allora mi disporrò in buon ordine a leggere tutto il manoscritto, magari con un buon sigaro dell'Honduras a farmi compagnia per gustarmi meglio la storia. Ma se mi costringo a leggere e poi trovo un finale debole o deludente, allora sì che cestinerò il manoscritto, magari bloccando anche l'indirizzo del mittente. Scherzi a parte: semplificate il lavoro dell'editore a cui sottoponete il manoscritto e sarete sulla buona strada per strappargli un sì... sempre che il lavoro non sia proprio un porcheria, s'intende.


  5. Batti il piede solo se balli il tip-tap Pazienza. Imparate, coltivate e praticate la pazienza. L'editore non apre l'ufficio ogni mattina aspettando il vostro manoscritto e, spesso, possiede anche una vita privata alla quale dedica quelle due o tre ore che ogni giorno riesce a strappare al sonno. Quindi se la risposta non vi arriva con la rapidità della folgore di Zeus, portate pazienza: probabilmente stanno leggendo la sinossi, e se non vi dicono subito che "... ringraziandola per averci preferiti, siamo dolenti di comunicarle che il suo manoscritto, pur valido, non trova collocazione nella nostra linea editoriale, eccetera, eccetera, eccetera...", probabilmente stanno leggendo tutto il manoscritto. Insieme alle altre decine o centinaia di manoscritti ricevuti. Quindi calma: la risposta arriverà. Piuttosto, se la risposta vi arriva immediatamente, ovvero prima che anche il robottino di Corto Circuito potesse riuscire a leggere il manoscritto, fossi in voi due domande me le farei o, quantomeno, cercherei di buttare uno sguardo approfondito sul contratto di edizione, perché con buone probabilità vi trovate davanti a una Casa editrice a pagamento che pubblica qualsiasi cosa, purché l'autore acquisti circa trecento copie a prezzo di copertina; e a buon intenditor...


  6. L'umiltà è la chiave del successo Hemingway è morto. Anche Tolstoj, se è per quello. Bukowski non è da meno. Stephen King vive a Bangor, nel Maine, e non vi assomiglia nemmeno un po'. Probabilmente il romanzo che avete appena inviato all'editore dopo aver fatto tesoro di quanto sopra esposto è veramente un capolavoro e merita un posto d'onore nell'Olimpo della letteratura contemporanea. Sicuramente se Tornatore o Tarantino leggessero solamente l'incipit se ne innamorerebbero a tal punto da proporvi un contratto a sei cifre pur di aggiudicarsi i diritti di sceneggiatura. Ma tutti noi viviamo nel mondo reale, nel quale si può sperare solo in un discreto successo o in una tremenda botta di culo, tenendo presente che se il primo è di difficile realizzazione, la seconda è praticamente impossibile. Quindi, se un editore accetta di pubblicare il nostro manoscritto senza pretendere di prosciugare il nostro esiguo conto corrente, magari offrendosi di lavorare fianco a fianco per la diffusione e la promozione del libro, smettiamo di (posso?) sentirci stocazzo e dimostriamo quel minimo di gratitudine che sarebbe logico attendersi. Nessuno di noi è leggenda, ma insieme possiamo crescere di parecchi gradini se dimostriamo empatia, autocritica, umiltà e onestà.


Editori pronti a credere negli autori esordienti, per fortuna, ce ne sono tanti; basta riuscire a riconoscerli in mezzo al marasma editoriale contemporaneo e presentarsi in modo appropriato.

Io, pur senza salire in cattedra, un paio di dritte ve le ho date... adesso tocca a voi,

In bocca al lupo... di cuore!


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